Da psicoanalisi applicata a psicoanalisi testimoniata
In senso generale, per “psicoanalisi applicata” s’intende l’utilizzo del sapere teorico e del metodo psicoanalitico al di fuori del setting; a tale frase solitamente si risponde che la psicoanalisi si applica solo come trattamento, ossia a un soggetto che parla e che ascolta. È evidente la contraddizione, che tuttavia può essere superata se si precisano le modalità e gli intendimenti di tale “applicazione”, incluso il senso di questo stesso termine, che talvolta può configurarsi come “testimonianza”.
A giustificazione di questo punto occorre intanto ricordare un principio di fondo, ossia che, sebbene la psicoanalisi nasca in ambito clinico a partire dalla sintomatologia, la sua finalità non si esaurisce nella clinica, e tanto meno nella cura dei sintomi, della quale peraltro lo stesso Freud non si è mai dimostrato un grande entusiasta.
Così, nello scritto L’interesse per la psicoanalisi del 1913, in cui si legge una siffatta opinione, Freud precisa che “i processi normali e processi patologici seguono le stesse regole”, una precisazione ribadita anche nello scritto Schiarimenti, applicazioni, orientamenti, Lezione 34 in Introduzione alla psicoanalisi del 1932.
Va detto, per inciso, che questi due testi costituiscono la base teorica della psicoanalisi applicata, mentre per quanto riguarda gli esempi pratici, ossia i saggi di tale psicoanalisi sono vari, come: Il delirio e i sogni della Gradiva di Wilhelm Jensen (1906), Significato opposto delle parole primordiali (1910), Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci (1910), Il Mosè di Michelangelo (1913), Il motivo della scelta degli scrigni (1913), Un ricordo d’infanzia, tratto da Poesia è verità di Goethe (1917) e altri ancora.
Freud ne Il delirio e i sogni della Gradiva scrive: “I poeti e gli scrittori sono alleati preziosi. Essi attingono a fonti che non sono ancora state aperte dalla scienza… [e aggiunge] non bisogna fare lo psicologo laddove l’artista gli apre la strada”. Questo modo di procedere induce a una presa di distanza da quell’interpretazione “in absentia”, detta anche “analisi selvaggia”, per cui un’opera verrebbe trattata come fosse una nevrosi, facendo così un’indebita applicazione della psicoanalisi stessa ed evidenziando in tale caso la contraddizione cui si è accennato. Ma la raccomandazione è soprattutto importante perché ribalta in qualche modo l’idea corrente di “applicare”, ossia di far valere, adattare, la psicoanalisi per spiegare altri saperi: si tratta semmai di avvalersi di questi ultimi per arricchire la prima, di trovare più che di applicare. Detto in altri termini, a Freud non interessa tanto spiegare i miti o i sogni della Gradiva, quanto utilizzare questi e altre opere per tirare acqua al mulino della psicoanalisi. L’operazione contraria comporterebbe l’annacquamento della stessa.
Nel testo citato del ‘13 L’interesse per la psicoanalisi, per descrivere i processi inconsci l’autore tralascia l’interesse medico, ossia i sintomi, mentre sceglie gli atti mancati e i sogni, caratterizzati comunque dal conflitto e dotati sempre di un significato e di un fine, ossia il principio di piacere. E’ plausibile allora sostenere che la scoperta delle intime relazioni fra processi patologici e normali renda possibile anche l’“applicazione” della psicoanalisi in numerosi campi del sapere. Freud infatti, nel testo in questione fornisce, ed è l’unica volta che lo fa, un’esposizione sistematica di tutte le applicazioni non mediche della psicoanalisi; vi elenca otto ambiti: la linguistica, a partire dal linguaggio del sogno; la filosofia, per il rapporto psiche-corpo scoperto dalla psicoanalisi; la biologia, a partire dal un nuovo concetto di sessualità; l’ontogenetica, dalla derivazione della vita psichica dell’adulto da quella del bambino; la storia della civiltà, per la credenza infantile della propria onnipotenza da parte dei popoli primitivi; l’estetica, per cui l’arte è un regno intermedio fra fantasia e realtà; la sociologia, per i fondamenti affettivi del rapporto fra singolo e società; la pedagogia, che non deve reprimere troppo, per non indurre rimozioni e malattie nevrotiche. Questo punto verrà ripreso nello scritto del ’32, in cui Freud precisa: “allo scopo di padroneggiare le pulsioni l’educazione deve cercare una via fra Scilla e Cariddi del divieto frustrante; l’educatore dovrebbe fare un apprendistato psicoanalitico, meglio se analizzato”.
In definitiva, l’interesse della psicoanalisi per queste discipline, e viceversa, può essere significativamente riassunto nell’espressione: “un sapere che interroga un altro sapere”, un metodo d’indagine che può comportare acquisizioni reciproche.
Alla luce di tali presupposti è possibile il confronto, con le dovute precisazioni e cautele, anche con altri terreni, oltre a quelli presi in considerazione da Freud, come la scuola, il lavoro, l’invecchiamento.
Alfeo Foletto